La mia avventura tra menhir, case a forma di nave, paesaggi mozzafiato, funerali con abbuffate e selfie… a caccia del cadavere in casa!
Toraja è una regione dell’isola di Sulawesi – una delle meno turistiche dell’Indonesia – con una cultura unica al mondo tutta incentrata sul culto dei morti, anzi dei cadeveri! L’ho scoperta grazie al passaparola di alcuni viaggiatori incontrati nel sud-est asiatico e “morivo” dalla curiosità di visitarla.
Ma questa esperienza bisogna conquistarsela. Come ho già detto in altri post, i trasporti in Indonesia sono lentissimi, ma quelli per Toraja spiccano. Per percorrere i 220 km che la separano da Makassar, il principale aeroporto dell’isola, servono 8/9 ore di pulmann! Certo il mio era molto carino – in Asia sono tutti pazzi di Hello Kitty – ed anche con posti comodi, ma il viaggio è stato orribile. Era notte e non vedevo la strada e mi sembrava che l’autista guidasse come un pazzo; solo al ritorno, di giorno, ho capito che eravamo su tortuose strade di montagna.
CAMPAGNA E CHIESA
Insomma, all’alba di una domenica mattina d’Agosto sbarco a Rantepao, una cittadina di poche migliaia di abitanti capoluogo della regione, e mi presento da Yudha, il ragazzo che ha accettato di ospitarmi. La sua casa è in fondo a una stradina sterrata di fianco a un campo di riso. Un gruppetto di maiali neri ci tiene a far sentire la sua presenza dietro l’abitazione. Non c’è da sorprendersi, l’Indonesia è il più grande paese musulmano del mondo, ma Sulawesi è in prevalenza cristiano-protestante. E, infatti, poco dopo Yuddha mi dice che sta andando a messa: non mi faccio sfuggire l’occasione e lo accompagno. Come sarà una messa a Toraja?
In pochi minuti, arriviamo alla chiesa, un edificio molto semplice. Per la prima volta assisto a una funzione protestante, luterana nello specifico. E per prima volta vedo un’officiante donna. Per gran parte del tempo si cantano salmi, il cui testo e proiettato sulla parete. Ma io sono rapito dalle coloratissime camice batik degli uomini. Alla fine mi colpisce che la pastora ci aspetti fuori per stringere la mano a tutti.
PIATTI TIPICI E VECCHIE CERTEZZE
A ora di pranzo andiamo a provare le specialità del posto. In Indonesia in genere si mangia bene e sono curioso di provare il maiale, che è assente nelle altre isole indonesiane. Purtroppo rimango deluso. I piatti non hanno un aspetto molto invitante e la carne è stopposa.
Ovunque è presente questa spezia locale chiamata pamarasan – a vederla sembra caffè – che non ha un cattivo sapore. Ma nel complesso il pasto è tra i peggiori fatti in Asia. Mi butto allora su un banchetto che fa una classica frittura di Java: banane, porri, tempè avvolti in pasta sfoglia. Mi ritorna subito il buon umore.
LE CASE-NAVE E LA CASA DEL CUORE
Nel pomeriggio faccio il mio primo incontro ravvicinato con le abitazioni tipiche del posto, con questa curiosa forma a barca. Sembra che siano sempre rivolte a nord, verso la Cina, in ricordo del paese da cui giunsero gli antenati dei torajani. Yudha mi spiega che quelle al centro in realtà sono magazzini di cereali.
Intanto nei pressi dei bambini giocano.
Al calar della sera si torna a casa e io improvviso una spaghettata con gli ingredienti che sono riuscito a trovare in loco – tra cui un formaggio improponibile. Tutti sono entusiasti, un piatto viene porto al vicino, e la piccola Rara impazzisce di gioia mangiando la prima pasta della sua brevissima vita. La scena mi riempie il cuore e mi ricorda per l’ennesima volta che viaggio per le persone e non per i posti.
INIZIA LA CACCIA AL FUNERALE
Il secondo giorno lo dedico alla missione del viaggio. Voglio scovare un funerale per assistere ai riti torajani e vedere un cadavere agghindato. Allora di buon mattino mi dirigo verso un’officina che mi ha indicato Yudha in cui potrò affittare uno scooter. Ma non ci arrivo. Mentre cammino per strada un ragazzo timido mi si avvicina e mi chiede se può farmi da guida. “Non voglio soldi, sono uno studente e voglio imparare.” “Mi puoi portare a un funerale?” “Certo.” Ci mettiamo d’accordo. Lui mi porterà in giro per i posti più interessanti di Toraja e a un funerale.
Il ragazzo si chiama Renol – suo padre era fan della casa automobilistica francese – e la prima sosta è a casa sua. Lì trovo sua mamma Nety e sua sorella e mi vengono mostrati dei cimeli di famiglia, spade (labo’) e vestiti tradizionali (maa’) “più vecchi di cento anni”. Sono certo di essere il primo straniero che li vede.
TOMBE, NAVI E BUFALI
Cominciamo il nostro tour dal villaggio tradizionale meglio conservato, Ke’te Kesu’. La parte antica comprende una trentina di case-nave molto belle, ornate da immagini e corni di bufali e tessuti tradizionali. Qui vedo un po’ di turisti, quasi tutti indonesiani o asiatici, ma anche un gruppetto di quattro ragazze in abiti tradizionali che provano una canzone (guarda nel video). Renol mi spiega che è una famosa canzone d’amore.
Poco lontano dalle case si trovano delle grandi tombe, anch’esse con il tetto a forma di barca, con tamburi e immagini dei defunti. Ovviamente sono quelle di personaggi importanti. La gente comune, invece, è sepolta in loculi scavati nella roccia.
Incomincio a capire come si svolge il funerale. Il morto viene portato in una specie di arca, che viene abbandonata, fuori dal sepolcro.
Le bare hanno dei richiami ad animali: per gli uomini il bufalo, per le donne il maiale. Ci sono ossa e teschi un po’ dappertutto. Mi raccontano che una tomba grande può contenere fino a 25 persone e che c’è un’etichetta da rispettare. Non spostare o portarsi via delle osse umane – un turista l’ha fatto ed è stato ossessionato da incubi. E chiedere al morto il permesso (tabe) per fare la foto. Attenti a voi selfisti sfrenati!
Prima di andar via vedo un bellissimo bufalo che si è attorcigliato la fune intorno alle corna, cerco di aiutarlo ma non si rivela molto amichevole.
MENHIR E PAESAGGI MOZZAFIATO
Arrivati a questo punto mi aspetto di vedere prue di navi ovunque. E, infatti, ecco sbucarne una da una chiesa.
Ma, sorpresa, scopro che si va anche sul classico. Nel sito di Bori’ Kalimbuang sono presenti molti menhir. E ancora più classico, i ricchi e i potenti se lo facevano fare più lungo. Immagino come avrebbe commentato Freud.
Ad aggiungere folklore troviamo che stanno facendo cantare dei bimbi per registrare lo spot di una bibita.
Nei nostro peregrinare ci dirigiamo poi sul punto panoramico della zona, a Tirinbayo. Campi di riso a perdifiato, qualche bufalo al pascolo, sfumature di giallo e verde. Da quassù ti senti padrone del mondo.
FINALMENTE IL FUNERALE
Nel villaggio di Rantepangli ci imbattiamo nel tanto agognato funerale. La piazza principale è praticamente un grande teatro all’aperto. Al centro c’è una torre con due sarcofaghi, circondato da postazioni coperte in cui stanno famiglia, compaesani e turisti. Eh sì, i turisti sono benvenuti, anzi danno prestigio alla cerimonia. In effetti, per la prima volta a Toraja non mi sento l’unico straniero. Quelli vicino a me sono polacchi, più in là qualche francese e tedesco.
Quando arrivo stanno offrendo da mangiare. Il menu prevede riso, pollo allo zenzero, pesce gatto e pomodoro, trippa di bufalo, verdure e poi porco stufato con daun singkong (foglie di cassava). Mi raccontano che gli animali sono stati sgozzati all’inizio della cerimonia. Non mi dispiace essere arrivato tardi.
Dopo il pasto parlano il prete e il leader della comunità, elogiando i due defunti, un uomo e una donna. Segue, una foto collettiva. La situazione si scalda quando i due sarcofaghi vengono portati giù dalla torre: le donne piangono, gli uomini ballano e tutti fanno un selfie con i ritratti dei cari estinti. Io, invece, vengo invitato a fare una foto con il presidente di Toraja. Poco dopo, si scatena una parapiglia: qualcuno sta lanciando biglietti da 20 e 50 rupie.
Poi, arrivano due furgoni, si caricano i sarcofagi-arca e si parte al suono di musiche solenni. Pochi chilometri e si arriva al cimitero, si scaricano le bare, si buttano le arche e tutto è finito.
IN VISITA AL CADAVERE
Onestamente mi aspettavo di più. “Non hanno tirato fuori i morti, peccato” sbotto a Renol. Mi dice che la settimana scorsa ne avevano riesumati e vestiti alcuni. E mi spiega che la gente aspetta di avere abbastanza soldi per fare un bel funerale, possono passare anche due anni dopo la morte del familiare. “Anche noi stiamo aspettando per fare quello della nonna.” Improvvisamente ho un’illuminazione. “Mi vuoi dire che tua nonna morta è ancora in casa?” “Sì, al paese dallo zio” “E la possiamo andarla a trovare???” Il viso di Renol si illumina: “Certo!”
In posa con il presidente di Toraja
Dopo pochi istanti siamo in groppa alla moto e ci avventuriamo giù per una ripidissima stradina – mi chiedo a ogni curva come faremo a risalire – e finiamo con arrivare in un villaggio in mezzo al bosco. Lì troviamo un cugino che sta sfamando un bufalo incazzoso, legato con l’anello al naso. Mi dicono che non lo usano come forza lavoro. Verrà venduto per qualche funerale alla cifra astronomica di 450 milioni di rupie (circa 3.000 €). Continuo a stupirmi di quanti denari spendano per i funerali qui. Gli occhi del bufalo-da-450-milioni mi fissano magnetici, ma i suoi sbuffi minacciosi mi riportano alla realtà.
Saliamo in casa. Renol mi indica la stanza. “Ciao nonna” dice e intuisco che la stia informandola che c’è una visita. Entro circospetto, la stanza e buia ma non sento odori strani. C’è una specie di baldacchino e una foto incorniciata della signora. La nonna è avvolta in un sacco di nylon colorato e non si intuisce la forma del corpo. Insomma, niente ossa e teschi. Ma non sono deluso, anzi. Alla fine di due giorni in caccia di un cadavere a Toraja, ho la sensazione d’aver trovato una persona. Rimango qualche minuto in raccoglimento. Poi, salutiamo la nonna e ce ne torniamo da dove siamo venuti.
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